Una ricerca internazionale, a cui ha partecipato l’ISP-CNR, pubblicata sulla rivista ‘Microplastics and Nanoplastics’ rivela come i rifiuti di plastica e microplastica nell’oceano stanno aumentando nelle aree estreme, mentre sono stabili sulle coste più antropizzate, nonostante le previsioni di aumento complessivo: segno della necessità di studiare meglio i fenomeni di provenienza, degrado e spostamento di questi rifiuti, dovuti anche ad azioni in apparenza innocue, come il lavaggio di capi di abbigliamento.

di Piero Mastroiorio

Una ricerca scientifica di un team internazionale, con l’obiettivo di riassumere dati provenienti da strumenti di ricerca primari, a cui ha partecipato l’ISP-CNR, Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche, pubblicata sulla rivista ‘Microplastics and Nanoplastics’, mette in luce le tendenze a livello globale dei rifiuti di materiali plastici riversati nell’ambiente marino, tentando di dare risposte a quesiti importanti rimasti ancora sena risposta.
Sebbene sia chiaro come vaste quantità di plastica entrano nell’oceano ogni anno, insieme ad altri rifiuti, rimane difficile valutare le tendenze effettive del loro flusso, dal momento che non ci sono stime affidabili, né per la quantità sedimentata nel fondo marino, né per l’input di microplastiche che avviene attraverso la deposizione atmosferica, data la grande mole di fonti di provenienza non del tutto definite, come spiega Maurizio Azzaro, responsabile della sede ISP-CNR di Messina e coautore dell’articolo: «In mare le plastiche galleggianti si frammentano gradualmente in particelle più piccole. Particolarmente preoccupanti sono le microplastiche, particelle di dimensione tra 1 micron e 5 millimetri, il cui impatto sull’ecosistema marino è ancora oggetto di ricerca a uno stadio iniziale. Comunque, è confermato da diversi studi scientifici il passaggio nella rete alimentare delle microplastiche, ritenute una delle sei emergenze mondiali dell’ambiente, con forti ripercussioni sulla salute umana.».

Quale è la provenienza delle microplastiche sversate in mare?
«Ogni volta che laviamo un pile o qualunque indumento contenente fibre sintetiche, queste vengono veicolate dagli scarichi nell’ambiente marino. Questa azione che a noi risulta naturale provoca enormi danni all’ambiente, ancor più se commessa in ambienti estremi dove sono ubicate le basi scientifiche polari», risponde il ricercatore Maurizio Azzaro.
Lo studio indica come nelle zone costiere la quantità di rifiuti plastici è rimasta costante negli ultimi anni, fino al 2019, mentre, nelle aree remote se ne osserva un aumento, come conclude il ricercatore ISP-CNR, Maurizio Azzaro: «Questo potrebbe essere interpretato come un trasferimento a lungo termine di rifiuti, dalle aree urbanizzate colpite più direttamente alle regioni in cui l’attività antropica è estremamente ridotta o assente. Tuttavia, mentre la quantità totale globale di rifiuti di plastica è prevista dai modelli in aumento, la situazione apparentemente stazionaria delle quantità nei sistemi costieri pone una sfida alla nostra capacità previsionale. Le domande sul destino dei rifiuti plastici, su come si degradano e si spostano in mare non hanno avuto una risposta completa e nel prossimo decennio, dedicato dalle Nazioni Unite alle scienze oceaniche, questa dovrebbe essere sicuramente una priorità.».

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