Lo studio rivela, tra l’altro, come un lavoratore su quattro, in Italia, svolga una professione che richiede una qualifica inferiore al titolo di studio posseduto, nei giovani tra i 25 e i 34 anni la quota sale al 37,5% e al 44,3% tra gli under venticinquenni, come, da qui al 2027, la domanda di lavoro preveda un fabbisogno di circa 3.800.000 lavoratori tra Pubblica Amministrazione e settore privato, che ne assorbirà l’80,6% del totale, con l’85,9% degli italiani, che sale all’87,5% tra gli occupati, convinto che la scuola sia distante dal mondo del lavoro.  

di Piero Mastroiorio —

È stato presentato a Roma, In occasione della “Festa del Lavoro”, presso la sede del CENSIS, Centro Studi Investimenti Sociali, il Rapporto CENSIS-UGL dal titolo“Il lavoro è troppo o troppo poco? Restituire valore e dignità al lavoro per superare contraddizioni e paradossi”, uno studio che ha messo in evidenza come il mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro generi disoccupazione, precariato, povertà e posizioni scoperte, penalizzando soprattutto i giovani che sempre di più scelgono di andare all’estero, come le imprese siano in difficoltà a rispondere ai loro fabbisogni occupazionali, nonché, l’obiettivo prioritario del nostro Paese, che  deve essere quello di trattenere in Italia forza lavoro e di far coincidere la domanda con l’offerta.

un momento della presentazione del Rapporto CENSIS-UGL

La ricerca evidenzia come il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 34 anni sia del 14,4%, mentre quello giovanile in senso stretto (15-24 anni) è al 23,7%, a fronte di un tasso medio dell’8,1%. Il 39,3% dei giovani che lavorano, oltre 2.000.000 in valore assoluto, svolge lavori non standard, perché a termine e/o part time, che non garantiscono la retribuzione e la stabilità necessarie ad avere un tenore di vita adeguato e, soprattutto, a fare progetti per il futuro.

L’overeducation, il mancato allineamento tra il livello di studi raggiunto e la professione svolta, in Italia riguarda un lavoratore su quattro ed è inversamente proporzionale all’età posseduta: è il 37,5% tra i giovani in età compresa tra i 25 e i 34 anni e il 44,3% tra gli under venticinquenni. Il 93,5% degli italiani è convinto che gli stipendi sono troppo bassi. L’Italia è l’unico dei Paesi OCSE, che negli ultimi trent’anni ha avuto una riduzione in termini reali delle retribuzioni del 2,9%.
La ricerca non manca di evidenziare come negli ultimi dieci anni oltre 1.000.000 di italiani si è trasferito all’estero: uno su quattro era laureato e uno su tre aveva tra i 25 e i 34 anni. La fuga degli italiani all’estero è un fenomeno non è destinato ad esaurirsi: il 47,3% degli italiani dichiara che se ne avesse la possibilità se ne andrebbe dall’Italia, con percentuali che raggiungono il 60,6% tra i più giovani. Il 68,1% della popolazione pensa che l’Italia non sia un Paese per i giovani e l’88,5% è convinto che all’estero il lavoro sia pagato meglio e siano più valorizzate le competenze. Il fatto che l’Italia non sia un paese per giovani potrebbe trovare conferma nel dato relativo ai pensionati, infatti, mentre i giovani diminuiscono, i pensionati sono 14.895.000 e nel 2040 saranno più di 17.000.000, con un aumento di 2.246.000 pensionati.

La ricerca rivela anche alcuni paradossi del mercato del lavoro, strizzando l’occhio ad investimenti e studio, tanto che nel primo caso si punta sul PNRR, che stabilisce come i giovani siano una priorità trasversale a tutti gli interventi e prevede una crescita dell’occupazione dei 15-29enni del 3,2% nel biennio 2024-2026 e dello 0,5% in quelli successivi, nel secondo, rivela come ad affacciarsi sul mercato del lavoro questa sia la generazione più scolarizzata di sempre: il 76,8% dei giovani sotto i 34 anni è almeno diplomato, venti anni fa era il 59,3% ed il 28,3% è laureato (venti anni fa il 10,6%.

Quindi, rivela come, da qui al 2027, la domanda di lavoro preveda un fabbisogno di circa 3.800.000 lavoratori tra Pubblica Amministrazione e settore privato, che ne assorbirà l’80,6% del totale. L’85,9% degli italiani, che sale all’87,5% tra gli occupati, è convinto che la scuola sia distante dal mondo del lavoro. Pochi laureati, ma troppi nelle discipline umanistiche, della formazione e dell’insegnamento, del gruppo psicologico. Il prossimo anno mancheranno all’appello oltre 12.000 medici e laureati in professioni sanitarie, oltre 8.000 del gruppo economico e statistico, oltre 6.000 laureati STEM, oltre 3.000 laureati in discipline giuridiche e politico-sociali. Troppi diplomati nei licei, con un esubero di 53.000 l’anno, mentre mancheranno 133.000 diplomati degli istituti tecnici e professionali e qualificati nel sistema della formazione professionale.  In futuro saranno sempre più richieste competenze trasversali. Il 65% dei posti di lavoro avrà bisogno di competenze green connesse al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale e il 56,3% dei nuovi posti avrà bisogno di competenze digitali.

«Ora che la pandemia è alle nostre spalle dobbiamo impegnarci con maggiore determinazione soprattutto a favore dei giovani, che fanno registrare una quota ancora troppo alta di disoccupazione. Come evidenzia in modo chiaro il Rapporto CENSIS-UGL, nonostante la domanda di lavoro sia in aumento, i nostri ragazzi continuano a cercare fortuna all’estero, dove trovano retribuzioni più elevate e migliori condizioni lavorative. Ecco, allora, che occorre creare condizioni occupazionali più favorevoli, con l’obiettivo di trattenere la forza lavoro qualificata in Italia, recuperando le fasce marginali di giovani che non studiano e non lavorano, attraendo cervelli e manodopera dall’estero. Solo così, il nostro Paese potrà avere un futuro economico, sociale e demografico diverso”, sono le parole del Segretario Generale dell’UGL, Unione Generale del Lavoro, Paolo Capone, a commento dei dati della ricerca del CENSIS, a cui hanno fatto eco quelle del Presidente del CENSIS, professor Giuseppe De Rita, che ha commentato: «il destino del Paese è quello dei giovani con talenti e competenze, che devono essere utilizzati e valorizzati nel nostro mercato del lavoro. C’è bisogno di una nuova stagione di politiche di raccordo tra formazione e lavoro per il futuro economico, ma anche demografico dell’Italia.».

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