Tempestiva la diagnosi dell’èquipe dell’UTIN del “Di Venere”, che, insieme alla ‘Genetica Medica’ e alle ‘Malattie Metaboliche’ dell’ospedale Pediatrico ‘Giovanni XXIII’, ha individuato una sindrome da deplezione del DNA mitocondriale e avviato la terapia adeguata, per questa malattia, che annovera soltanto cinquanta casi al Mondo.   

di Piero Mastroiorio —

Una malattia del DNA ultra rara, di cui sono documentati solo 50 casi al Mondo, è stata individuata in un neonato con appena 15 giorni di vita all’Ospedale Di Venere di Carbonara di Bari, grazie alla tempestiva diagnosi, poco più di 4 giorni, della sindrome da deplezione del DNA mitocondriale, fatta dall’equipe della Terapia intensiva neonatale, eseguita con il supporto del Laboratorio di Genetica e della Unità operativa di Malattie Metaboliche dell’Ospedale pediatrico Giovanni XXIII, ottenuta con l’inquadramento precoce, in tempi finora mai raggiunti in nessun caso noto alla letteratura medico–cientifica, ha consentito al piccolo di ricever l’adeguata terapia per trattare il disturbo, al termine di un percorso clinico multidisciplinare.

strumenti dell’UTIN, il reparto di Terapia Intensiva Neonatale del “Di Venere” di Bari

Il piccolo, nato pretermine a 31 settimane, con peso di 1.400 grammi, dopo un parto cesareo in emergenza, a causa di liquido amniotico in eccesso, è stato trasferito in terapia intensiva neonatale in ventilazione non invasiva, per essere monitorato, come da procedura ordinaria, tuttavia, a distanza di 24 ore dalla nascita, presentava un disturbo, con importante acidosi metabolica, accumulo di acido lattico e deficit di basi, come spiega il direttore, facente funzioni, dell’UTIN Di Venere, dr. Gabriele D’Amato: «Le indagini strumentali e le analisi chimiche hanno escluso cause secondarie di tale disturbo, da qui abbiamo iniziato a considerare una condizione patologica legata ad errori congeniti del metabolismo o difetti di produzione energetica.».

l’UTIN, il reparto Neonatale del “Di Venere” di Bari

Una volta eseguita tutta una serie di indagini metaboliche, con esito negativo, la Terapia intensiva neonatale del ‘Di Venere’ ha deciso di allertare l’Unità di Malattie metaboliche dell’Ospedale Pediatrico e, subito dopo, nel sospetto di una patologia mitocondriale ultra-rara, si è disposto l’avvio urgente di un sequenziamento dell’esoma, la parte del genoma formato da esoni che rappresentano la porzione codificante del nostro DNA, che, pur essendo solo 1% di tutto il nostro materiale genetico, è costituito da oltre 30 megabasi di DNA ed è responsabile di tutta, o quasi, la costruzione del nostro organismo. Nella stessa giornata è stato programmato il prelievo di sangue del neonato e dei genitori, quindi si è dato inizio alla diagnosi presso il Laboratorio di Genetica del ‘Di Venere’, centro di riferimento regionale per la diagnosi mediante esoma.

l’Ospedale pedriatico Giovanni XXIII di Bari

«L’indagine, completata in soli 4 giorni, ha consentito di individuare una mutazione da scivolamento in omozigosi del gene FBXL4 da genitori eterozigoti (portatori sani) della stessa. Il neonato è quindi affetto da una encefalomiopatia mitocondriale molto rara, nota come sindrome da deplezione del DNA mitocondriale tipo 13, caratterizzata da ipotonia, difficoltà di suzione, encefalopatia con severo ritardo dello sviluppo e persistente acidosi lattica. Il nostro caso rappresenta la diagnosi più precoce tra quelli noti in letteratura», le parole con le quali, Mattia Gentile, direttore della Genetica Medica, ha spiegato la situazione clinica del bambino, che, grazie alla terapia, oggi, ha quasi 30 giorni di vita, con un peso di 1.790 grammi, cresce in modo regolare e progressivo, a cui hanno fatto eco quelle della dottoressa Albina Tummolo, esperta in Malattie Metaboliche dell’Ospedale Giovanni XXIII, che ha confermato come «Dopo aver individuato la sindrome da cui è affetto il neonato, è stato possibile predisporre il conseguente trattamento terapeutico. La diagnosi genetica precoce ci ha consentito di indirizzare in maniera più mirata l’approccio terapeutico, perché ci ha permesso di comprendere come, a causa della mutazione genetica, i mitocondri del piccolo paziente venissero precocemente distrutti da parte della cellula. Abbiamo associato, quindi, un cofattore, già utilizzato in alcune malattie neurologiche, in grado di incrementare la sopravvivenza dei mitocondri e di migliorare la potenzialità energetica residua di questo organello»,

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