di Piero Mastroiorio

L`ultimo rapporto SVIMEZ realizzato in collaborazione con Save the Children, “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”, presentato lo scorso 7 febbraio 2024, a Roma, rivela come nel Sud Italia i servizi di prevenzione e cura sono più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza, soprattutto, per le patologie più gravi, come l`aumento della spesa sanitaria sia una priorità nazionale, come andrebbe corretto il metodo di riparto regionale del Fondo Sanitario Nazionale, per tenere conto dei maggiori bisogni di cura nei territori a più elevato disagio socio-economico e come l’autonomia differenziata rischia di ampliare le disuguaglianze nelle condizioni di accesso al diritto alla salute.
Il Report, pubblicato nell’ultimo numero di Informazioni Svimez, curato da Luca Bianchi, Serenella Caravella e Carmelo Petraglia, offre una fotografia delle condizioni territoriali del SSN, Sistema Sanitario Nazionale, a cui si rivolgono i cittadini per le cure. Nel corso della presentazione è stato proiettato un video con le storie immaginarie di due donne, una calabrese e una emiliana, che affrontano la stessa patologia oncologica. Storie che riflettono la realtà dei divari Nord-Sud nella qualità degli SSR, Sistemi Sanitari Regionali, della conseguente scelta” di molti cittadini del Mezzogiorno di ricevere assistenza nelle strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per curare le patologie più gravi.

Contestualmente, Save the Children ha ribadito come i divari territoriali siano evidenti già a partire dalla nascita. Sebbene nel panorama mondiale l`SSN, Servizio Sanitario nazionale, si posizioni come un`eccellenza per la cura dei bambini, sia dal punto di vista delle professionalità che della universalità di accesso alle cure, le disuguaglianze territoriali sono molto accentuate. Secondo gli ultimi dati dell`ISTAT, Istituto di Statistica nazionale, disponibili, il tasso di mortalità infantile, entro il primo anno di vita, era di 1,8 decessi ogni 1000 nati vivi in Toscana, ma era quasi doppio in Sicilia (3,3) e più che doppio in Calabria (3,9).
Già prima della pandemia, il numero dei consultori familiari si era andato assottigliando, con la conseguente carenza di presidi territoriali di prossimità fondamentali per sostenere la salute e il benessere materno-infantile. Dopo l’emergenza Covid-19 si arresta la crescita della spesa sanitaria e restano ampi i divari territoriali, aumentati in un contesto di generalizzata debolezza del Sistema Sanitario che, nel confronto europeo, risulta sottodimensionato per stanziamenti di risorse pubbliche, in media 6,6% del PIL contro il 9,4% di Germania e l’8,9% di Francia, a fronte di un contributo privato comparativamente elevato, pari al 24% della spesa sanitaria complessiva, quasi il doppio di Francia e Germania.

I dati regionalizzati di spesa sanitaria, fonte Conti Pubblici territoriali, risultano livelli di spesa per abitante, corrente e per investimenti, mediamente più contenuti nelle regioni meridionali: a fronte di una media nazionale di 2.140 euro, la spesa corrente più bassa si registra in Calabria (1.748 euro), Campania (1.818 euro), Basilicata (1.941 euro) e Puglia (1.978 euro). Per la parte di spesa in conto capitale, i valori più bassi si ravvisano in Campania (18 euro), Lazio (24 euro) e Calabria (27 euro), mentre il dato nazionale si attesta su una media di 41 euro.

Il Report rivela come il monitoraggio LEA, Livelli Essenziali di Assistenza, che offre un quadro delle differenze nell’efficacia e qualità delle prestazioni fornite dai diversi SSR, fa emergere i deludenti risultati del Sud: 5 regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti. 1.600.000 famiglie italiane in povertà sanitaria, di cui 700.000 sono al Sud. In base alle recenti valutazioni del CREA, Centro per la ricerca economica applicata in sanità, sono il 6,1% le famiglie italiane in povertà sanitaria, perché hanno riscontrato difficoltà o hanno rinunciato a sostenere spese sanitarie. Nel Mezzogiorno la quota la povertà sanitaria riguarda l’8% dei nuclei familiari, una percentuale doppia rispetto al 4% del Nord-Est (5,9% al Nord-Ovest, 5% al Centro).

Il Report rivela una speranza di vita minore al Sud di 1,5 anni, più alta anche la mortalità per tumore.
Il Mezzogiorno, secondo gli indicatori BES, Benessere Equo e Sostenibile, sulla salute, è l’area del Paese caratterizzata dalle peggiori condizioni di salute. Gli indicatori relativi alla speranza di vita mostrano un differenziale territoriale marcato e crescente negli anni: nel 2022, la speranza di vita alla nascita per i cittadini meridionali era di 81,7 anni, 1,3 anni in meno del Centro e del Nord Ovest, 1,5 rispetto al Nord-Est. Analoghi differenziali sfavorevoli al Sud si osservano per la mortalità evitabile causata da deficit nell’assistenza sanitaria e nell’offerta di servizi di prevenzione. Il tasso di mortalità per tumore è pari al 9,6 per 10.000 abitanti per gli uomini rispetto a circa l’8 del Nord. È cresciuto il divario per le donne: 8,2 al Sud con meno del 7 al Nord; nel 2010 i due dati erano allineati.

Ancora una negativittt dal Report per il Mezzogiorno arriva sulla prevenzione oncologica che, secondo le valutazioni dell’ISS, Istituto Superiore di Sanità, nel biennio 2021-2022, in Italia circa il 70% delle donne di 50-69 anni si è sottoposta ai controlli: circa 2 su 3 lo ha fatto aderendo ai programmi di screening gratuiti. La copertura complessiva è dell’80% al Nord, del 76% al Centro, ma scende ad appena il 58% nel Mezzogiorno. La prima regione per copertura è il Friuli-Venezia Giulia (87,8%); l’ultima è la Calabria, dove solamente il 42,5% delle donne di 50-69 anni si è sottoposto ai controlli. I dati relativi agli screening organizzati dai SSR confermano i profondi divari regionali nell’offerta di servizi che dovrebbero essere garantiti in maniera uniforme in quanto compresi tra i LEA. La quota di donne che ha avuto accesso a screening organizzati oscilla tra valori compresi tra il 63 e il 76% in Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, P.A. di Trento, Umbria e Liguria e circa il 31% in Abruzzo e Molise. Le quote più basse si registrano in Campania (20,4%) e in Calabria, dove le donne che hanno effettuato screening promossi dal Servizio Sanitario sono appena l’11,8%, il dato più basso in Italia.

Il Report mette in evidenza una vera e propria fuga dal Sud in relazione alla mobilità sanitaria, in particolare per le patologie più gravi. Il 22% dei malati oncologici del Sud si fa curare al Nord. Nel 2022 dei 629.000 migranti sanitari, per volume di ricoveri, il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, 12.401 pazienti meridionali, pari al 22% del totale dei pazienti, si sono spostati per ricevere cure in un SSR del Centro o del Nord nel 2022. Solo 811 pazienti del Centro-Nord, lo 0,1% del totale’, hanno fatto il viaggio inverso. Secondo il report, la Calabria fa registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti. Seguono Basilicata (25%) e Sicilia (16,5%). Al Sud, i servizi di prevenzione e cura sono, dunque, più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza.
Save the Children evidenzia numeri crescenti anche nelle migrazioni sanitarie pediatriche da Sud verso il Centro-Nord, segno di carenze o di sfiducia nel sistema sanitario delle regioni del Mezzogiorno: l’indice di fuga, il numero di pazienti pediatrici che vanno a farsi curare in una regione diversa da quella di residenza, nel 2020 si attesta in media all’8,7% a livello nazionale, con differenze territoriali che vanno dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise, il 30,8% della Basilicata, il 26,8% dell’Umbria e il 23,6% della Calabria. In particolare, un terzo dei bambini e degli adolescenti si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali o neurologici, della nutrizione o del metabolismo nei centri specialistici convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi pediatriche di IRCCS, Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico.

Le ultime novita` in campo sanitario, soprattutto, l’autonomia differenziata fanno sorgere una domanda: quanto quest`ultima aggrava le disuguaglianze interregionali e quanto l`obiettivo dell’equità orizzontale della sanità è ulteriormente messo a rischio dal progetto di autonomia differenziata?
La risposta arriva dal Report che rivela come sulla base delle risultanze del Comitato per l’individuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, in particolare, tutte le Regioni a Statuto Ordinario potrebbero richiedere il trasferimento di funzioni, risorse umane, finanziarie e strumentali ulteriori rispetto ai LEA in un lungo elenco di ambiti: gestione e retribuzione del personale, regolamentazione dell’attività libero-professionale, accesso alle scuole di specializzazione, politiche tariffarie, valutazioni di equivalenza terapeutica dei farmaci, istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi. La concessione di ulteriori forme di autonomia potrebbe determinare ulteriori capacità di spesa nelle Regioni ad autonomia rafforzata, finanziate dalle compartecipazioni legate al trasferimento di funzioni e, soprattutto, dall’eventuale extra-gettito derivante dalla maggiore crescita economica. Tutto ciò, in un contesto in cui i LEA non hanno copertura finanziaria integrale a livello nazionale e cinque delle otto Regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti, determinerebbe una ulteriore differenziazione territoriale delle politiche pubbliche in ambito sanitario. Con l’autonomia differenziata si rischierebbe di aumentare la sperequazione finanziaria tra SSR e di ampliare le disuguaglianze interregionali nelle condizioni di accesso al diritto alla salute. 

I recenti dati diffusi da Svimez e Ropi sull’assistenza e la cura oncologica in Italia, rendono giustizia dei progressi effettuati dalla Puglia. In un quadro nazionale caratterizzato da una ormai storica frattura con il Nord, la nostra regione, dati alla mano, è tuttavia la più virtuosa nel Mezzogiorno. Sono migliorati i dati sulla mobilità passiva oncologica, ovvero quei pazienti che emigrano negli ospedali del Nord per farsi curare: la Puglia registra il 13,9%, tasso più basso al Sud, e ben distante dal 41% di Campania e Calabria. Anche per la prevenzione la Puglia risulta tra le più efficienti al Sud: il 64,5% delle donne tra i 50 e 69 anni hanno eseguito lo screening per il tumore alla mammella.

In Campania e in Calabria, sono meno della metà. In questo ambito la Puglia ha anche aumentato la capacità di attrazione: ad esempio, vengono in Puglia il 40% delle donne lucane colpite da questa patologia che hanno deciso di curarsi fuori regione”, ha detto Giammarco Surico, Direttore della Rete Oncologica Pugliese, commentando i dati contenuti nel rapporto “Un Paese due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute” presentato, come detto, a Roma, da cura Svimez e Save the Children e, nel quadro aggiornato sulla chirurgia oncologica, presentato dalla ROPI, Rete Oncologica Pazienti Italia, al ministero della Salute, che aggiunge, spiegando: “Solo pochi mesi fa l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, aveva riconosciuto i nostri miglioramenti: nel 2018 i ricoveri oncologici registrati fuori Puglia erano 9.440, nel 2022 invece sono scesi a 7.777, con una diminuzione del 17,61%. La Puglia è cresciuta come numero di interventi di chirurgia oncologiche ed è una delle tre regioni del Sud che copre tutte le 17 patologie considerate. Per il tumore del colon, ad esempio, fra i primi 10 ospedali per numero di interventi ci sono Policlinico di Bari e “Panico” di Tricase. Per il tumore della prostata, nei primi dieci c’è il “Miulli”. L’Istituto Tumori di Bari ha ottenuto la certificazione dei percorsi di cura dall’organizzazione Europea degli Istituti Oncologici in numerose patologie. Stiamo raccogliendo i risultati dell’organizzazione in rete che si è data la Puglia dal 2019. C’è ancora tanto da fare, ma i dati confermano che siamo sulla strada giusta, con i CORO, Centri Orientamento Oncologico, funzionanti e con i percorsi assistenziali di completa presa in carico del paziente”.

 “Il rapporto Svimez fa una fotografia sullo stato dell’arte, ma bisogna tenere conto da dove siamo partiti. In ambito oncologico abbiamo recuperando reputazione e credibilità. I numeri vedono un recupero della mobilità passiva, raccontano di una sanità pugliese più in salute e più attenta a qualificare l’offerta assistenziale. Anzi, abbiamo anche registrato mobilità attiva verso l’Istituto Tumori, con pazienti che arrivano da fuori regione. Se nel 2019 le prestazioni ambulatoriali dell’oncologico barese erano 729mila, siamo passati a 1 milione e 27mila nel 2023, con un aumento del 40% rispetto al periodo pre-pandemico. La produzione complessiva è passata da 33 milioni del 2018 a 40 milioni e mezzo del 2023, con numeri importanti per Ginecologia oncologica (+49%), Ematologia (+31,5%) e Chirurgia toracica (+14,8%)”, conclude Alessandro Delle Donne, Direttore generale dell’Istituto tumori “Giovanni Paolo II” di Bari e presidente dell’UCOOR, unità di coordinamento oncologico regionale.

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