Il 4 novembre, al di là del racconto degli avvenimenti storici, delle battaglie, dovrebbe essere il giorno della commemorazione dei caduti di tutte le guerre, il giorno del ringraziamento ai Militari in servizio, il ricordo dell’altissimo prezzo pagato per quella pace, della disfatta di Caporetto e cosa fu la battaglia di Vittorio Veneto, di non cercare altrove i responsabili, fu la decisione di entrare in guerra, soprattutto, l’onore dovuto al sacrificio dei Patrioti che hanno dato la vita per rendere sicura, civilmente avanzata e democraticamente evoluta la nostra amata Patria.

di Piero Mastroiorio —

Tornando con la mente a quello che rappresentava il 4 novembre possiamo dire che fino alla fine degli anni ‘70, del Secolo scorso, fu certamente una festa di popolo, la più sentita del calendario civile, tanto che a scuola si studiavano il Risorgimento e la Grande Guerra, meglio conosciuta come Prima Guerra mondiale, con cui terminava, di solito, l’anno scolastico e si lasciava pochissimo spazio alla Seconda Guerra mondiale, per mancanza di tempo o altre vicissitudini,

Nell’aria si avvertiva già che qualcosa continuava a cambiare, sulla scia dei cambiamenti precedenti: il 4 novembre non aveva più la denominazione originaria del 1922, «anniversario della vittoria», infatti dal 1949 era chiamata «festa dell’unità nazionale», oggi, «festa dell’unità nazionale e giornata delle Forze armate».
Nulla da eccepire sui concetti, ma resta evidente che il voler nascondere l’unica vittoria che l’Italia unitaria possa vantare e potrebbe rivendicare, con le altre, quella nelle guerre di Etiopia e di Libia, si solleverebbe un polverone, che Dio solo conosce, tanti quanti potrebbero essere i discorsi retorici prevalsi sulla Resistenza partigiana e sulla Costituzione «più bella del mondo», che, poveri noi, qualcuno negli ultimi anni ha calpestato più e più volte, che, celebra una sconfitta, che diede vita alla Repubblica artefice della “rinascita” della democrazia, dimenticando la vittoria nella Guerra del ‘15-‘18, perchè, erroneamente, la si ritiene madre del fascismo.

In entrambe le guerre mondiali, il fronte italiano fu però considerato secondario. Nella Grande guerra l’opinione prevalente all’estero era che lo sforzo militare italiano fosse stato per nulla essenziale ai fini della vittoria finale. Di ciò il Comando supremo italiano era consapevole già nei giorni stessi dell’armistizio, come risulta dal messaggio che il generale Armando Diaz inviò il 4 novembre 1918 al presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando: «Vi sono tentativi di svalutazione dei risultati della nostra vittoria». Anche per l’ignoranza delle opere in lingua italiana, tale pregiudizio è rimasto poi in gran parte della storiografia straniera, compresa la migliore, che ricorda più facilmente la sconfitta di Caporetto della vittoria di Vittorio Veneto, o terza battaglia del Piave, seguendo quelle del novembre 1917, che fermò l’avanzata nemica dopo la sconfitta di Caporetto e quella del giugno 1918, conosciuta, anche, come battaglia del solstizio, che bloccò l’ultima offensiva austriaca, combattuta tra il 24 ottobre e il 4 novembre 1918.

La leggenda del Piave, meglio conosciuta come la Canzone del Piave, è una delle più celebri canzoni patriottiche italiane, composta nel giugno 1918, subito dopo la battaglia del solstizio, che contribuì a ridare morale alle truppe italiane fino alla vittoria finale…

Mentre, dall’estate gli alleati dell’Italia sollecitavano un’offensiva sul fronte italiano e il generale Diaz respingeva le pressioni, richiedendo anche un consistente concorso di truppe americane, che venne però rifiutato, il 26 settembre riprese l’offensiva dell’Intesa sul fronte occidentale, il 29 la Bulgaria firmò l’armistizio di Salonicco, abbandonando di fatti gli eserciti belligeranti al loro destino, il 4 ottobre, anche, gli Imperi centrali fecero i primi sondaggi per una cessazione delle ostilità. Il rischio che la guerra finisse senza una vittoria dell’Italia, con la possibile messa in discussione dei territori promessi dal Patto di Londra del 26 aprile 1915, aveva un rischio molto evidente, tanto che il presidente del Consiglio Orlando incalzò Diaz affinchè attaccasse, dichiarando di preferire «all’inazione la sconfitta».

Venne preparato un piano d’attacco dal colonnello Ugo Cavallero, capo dell’Ufficio operazioni del Comando supremo e futuro Capo di Stato maggiore generale dal dicembre 1940 al gennaio 1943, che, rivisto dal generale Enrico Caviglia, comandante dell’8^ Armata, ricevette l’ordine definitivo di inizio delle operazioni il 21 ottobre 1918.
Si fronteggiavano circa 1.000.000 di uomini da entrambe le parti, 58 divisioni di fanteria austro-ungariche con 7.000 pezzi d’artiglieria, divise in due gruppi di armate, comandati sulla linea del Piave dal generale Svetozar Borevic von Bojna, conosciuto come il leone dell’Isonzo e, in Trentino, dall’Arciduca Giuseppe, fino al 26 ottobre, contro 4 divisioni di cavalleria e 57 di fanteria dell’Intesa, 51 italiane, 3 britanniche, 2 francesi, 1 di fuoriusciti cecoslovacchi, più un reggimento americano, con 7.700 pezzi di artiglieria. La 10^ Armata italo-britannica era comandata da Lord Cavan e la 12^ franco-italiana da Jean César Graziani.  

Prima ad attaccare nella zona del Monte Grappa, all’alba del 24 ottobre, fu la 4^ Armata del generale Giardino, che incontrò la tenace resistenza del nemico. Lo stesso giorno, sul Piave, mentre i reparti italiani non riuscivano a passare il fiume, anche, a causa della piena, Lord Cavan occupò l’isola delle Grave di Papadopoli e l’isola Maggiore, in mezzo al corso d’acqua. Il 26 ottobre, il generale Giardino, che non aveva conseguito alcun risultato, sospese l’offensiva e il giorno successivo gli austriaci contrattaccarono con efficacia. Nella giornata del 27 ottobre reparti italiani, francesi e inglesi traversarono il Piave e il generale Caviglia decise di sfruttare le teste di ponte create.
Il 28 e il 29 ottobre la situazione sul Grappa era in stallo, per via dei contrattacchi austriaci, che portò alla decisione di sospendere l’offensiva italiana in attesa degli sviluppi sul Piave, dove il generale Caviglia esortò le sue truppe al massimo sforzo dichiarando che entro le successive ventiquattro ore la battaglia sarebbe stata decisiva e dal suo esito sarebbe dipesa la Storia d’Italia «forse per un secolo».

Gli eserciti si fronteggiavano, in attesa della resa dei conti finale, da Vienna arrivava, da parte dell’Imperatore Carlo, unarichiesta, al Presidente americano Wilson, di un armistizio con una conseguente pace separata, mentre le truppe di prima linea si battevano ancora tenacemente, nelle retrovie l’evoluzione della situazione politica all’interno dell’Impero diede luogo a defezioni e ammutinamenti dei reparti non austriaci e cominciò la ritirata dell’Esercito imperiale.
Un ufficiale italiano descrisse la difesa austriaca come «un budino con crosta», rotta la quale si incontrava poca resistenza. A metà del 30 ottobre gli italiani entrarono a Vittorio Veneto.
Il 1° novembre tra i generali Viktor Weber von Webenau e Pietro Badoglio, Sottocapo di Stato Maggiore, iniziarono le trattative di armistizio, firmato a Padova a Villa Giusti del Giardino alle 18.20 del 3, con effetto dalle 15 del giorno successivo. Il quartier generale austriaco aveva già ordinato di cessare i combattimenti nella notte sul 3, rendendo ancor più confusa una situazione già compromessa, che gli italiani non si lasciarono sfuggire, approfittarono dell’intervallo di tempo per avanzare, facendo il massimo numero di prigionieri ed impadronendosi di materiali nemici, riuscendo a conquistate Trento e Trieste, senza incontrare resistenza.
Nelle dieci giornate di combattimenti gli italiani ed i loro alleati ebbero circa 37.000 tra morti, feriti e dispersi, gli austriaci circa 30.000 tra morti e feriti e, naturalmente, un altissimo numero di prigionieri, catturati soprattutto negli ultimi tre giorni.

Targa commemorativa del “Bollettino della Vittoria

Il 4 novembre 1918 culminò con il Bollettino di guerra n. 1268 diramato dal Comando Supremo, alle ore 12, firmato dal Generale Armando Diaz e scritto dal generale Domenico Siciliani, capo dell’Ufficio stampa del comando supremo, in cui si legge: «La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatré divisioni austroungariche, è finita. La fulminea e arditissima avanzata del XXIX Corpo d’Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l’irresistibile slancio della XII, della VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente. Nella pianura, S.A.R. il Duca d’Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute. L’Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza.».

A noi, a 104 anni da quella vittoria militare non restano che alcune domande, retoriche se volete, ma sempre attuali: come si spiegano cos’è la Patria? Come si racconta cos’è la Storia, cos’è la Civiltà e cos’è lo Stato? Soprattutto come si spiega e si parla ai ragazzi di cos’è la guerra e cos’è la pace?
L’evento più importante del XX Secolo è rappresentato proprio dalla Grande Guerra che, nel bene e nel male, ha dato forma al Mondo in cui viviamo. Non conoscere la tragicità degli eventi che gli storici, i politici e gli economisti poterono allora e possono oggi testimoniare, ridicolizza l’indefinito pacifismo ideologico di alcuni piccoli personaggi in cerca d’autore preposti, ma inabili, allo scopo.
Durante quella guerra non fu la storia maestra della vita, ma, di certo, fu la vita maestra della storia e se oggi il popolo permette all’ignoranza fuori luogo di educare i propri figli, possiamo dire che la fine è ormai prossima, perché, oggi, tutti i morti per la Patria, per un’idea, sembrano dirci: «Non citate a caso la Costituzione nel giorno dell’unità nazionale e non leggete solo ciò che vi fa comodo, soprattutto, leggete tutto l’Art. 11 della Costituzione prima di dire sciocchezze ed una nuova guerra alle porte!».
In quel triste anno, 1914, nessuno statista tentò di risolvere le difficoltà con il compromesso e il negoziato. Poi, giunsero la ferocia e i suoi nuovi metodi di sterminio di massa, infine, s’accese la tragedia che segnò la storia: nacquero i nuovi concetti di “nazione armata” e “guerra totale”.

Il 4 novembre, al di là del racconto degli avvenimenti storici, delle battaglie, dovrebbe essere il giorno della commemorazione dei caduti di tutte le guerre, a perenne ricordo dell’armistizio firmato con l’Impero austro-ungarico.
Dovrebbe essere il giorno del ringraziamento ai Militari in servizio, in Italia e nelle missioni internazionali all’estero, per la loro disponibilità.
Dovrebbe essere il ricordo dell’altissimo prezzo pagato per quella pace con oltre 4.000.000 di Soldati mobilitati, di cui 250.000 giovani appena diciottenni, la famosa classe del ‘91, che mostrò il suo valore a Vittorio Veneto, 600.000 morti e 1.500.000 feriti, nonchè, le vite perdute tra i civili inermi.
Dovrebbe essere il ricordo della disfatta di Caporetto e cosa fu la battaglia di Vittorio Veneto e, soprattutto, quello, che molti dimentica: le guerre vengono dichiarate dai politicanti, ma sono i militari a combatterle e a perdere la vita insieme ai cittadini che non riescono a proteggere.
Dovrebbe essere il ricordo di non cercare altrove i responsabili, il primo e sconsiderato atto fu la decisione di entrare in guerra, le azioni, le tattiche e gli orrori che seguirono dipesero da quella scelta, che trasformò gli uomini e le convinzioni spazzando via il vecchio ordine europeo, scatenando le nuove e potenti forze politiche comuniste e fasciste. Fu rovina e vittoria, ma quel legame ideale che unisce la Nazione e le sue Forze Armate, quel legame che è stato definitivamente suggellato nell’Articolo 52 della Carta Costituzionale ricorda che: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”.
Dovrebbe essere il ricordo, per cittadini e alte Cariche dello Stato, che tributeranno al Milite Ignoto, l’onore dovuto al sacrificio dei Patrioti che hanno dato valori di riferimento all’Italia lottando e dando la vita per rendere sicura, civilmente avanzata e democraticamente evoluta la nostra amata Patria.

333.344646 Nicola – Torremaggiore — 347.5270649 Piero – San Severo
Ufficio: Via Troia, 32 – San Severo
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