SAVE THE CHILDREN: «Negli ultimi 15 anni la popolazione di bambine, bambini e adolescenti è diminuita di oltre 600.000 unità, un dato per cui si può parlare di un vero e proprio “rischio di estinzione” per l’infanzia nel nostro Paese. Nello stesso tempo arco temporale la povertà assoluta ha colpito 1.000.000 di bambini e adolescenti in più, lascandoli senza lo stretto necessario per vivere dignitosamente.».

di Redazione —

Nella XII edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio, dal titolo “Il futuro è già qui”, curato da Save the Children si racconta come in un Italia «ogni giorno più vecchia, ingabbiata nelle diseguaglianze sociali, economiche e geografiche, in cui i minori sono sempre più poveri, non vengono considerati come il capitale più prezioso per il futuro del paese, non vengono ascoltati». Si racconta di come i bambini italiani siano sempre meno e sempre di più quelli che vivono in povertà assoluta. Infatti, è fra i minori che la povertà morde di più e le disuguaglianze si fanno sentire con un peso sempre maggiore. La pandemia ha aggravato la situazione e ha fatto esplodere le differenze già esistenti, che partono dalla primissima infanzia: negli ultimi 15 anni si contano 600.000 minori in meno ed 1.000.000 di minori poveri in più.

In questa Italia piena di disuguaglianze aggravate dalla pandemia, il problema dell’infanzia a rischio parte in realtà da lontano, come dice Save the Children: «Negli ultimi 15 anni la popolazione di bambine, bambini e adolescenti è diminuita di oltre 600.000 unità, un dato per cui si può parlare di un vero e proprio “rischio di estinzione” per l’infanzia nel nostro Paese. Nello stesso tempo arco temporale la povertà assoluta ha colpito 1.000.000 di bambini e adolescenti in più, lascandoli senza lo stretto necessario per vivere dignitosamente. Fra il 2010 e il 2016 la spesa per l’istruzione è stata tagliata di mezzo punto di PIL e si è risparmiato, anche, sui servizi alla prima infanzia, le mense e il tempo pieno, lasciando che, allo scoppio della pandemia, i divari e le disuguaglianze di opportunità spianassero la strada ad una crisi educativa senza precedenti.».
Tutto ciò ha fatto aumentare la percentuale di ragazzi che abbandonano presto la scuola: è aumentata al 13,1%, contro la media europea del 9,9%, la percentuale di Early school leavers, giovani tra i 18 e i 24 anni che non studiano e non hanno concluso il ciclo d’istruzione. Sono aumentati i NEET, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in alcun percorso di formazione: ormai si tratta quasi di un quarto dei giovani, il 23,3% in Italia contro la media europea del 13,7%.

«Eppure, nonostante non ci siano politiche di investimento su di loro, ragazze e ragazzi sono sempre più interessati ad essere protagonisti della vita politica e delle decisioni che li riguardano e la pandemia sembra averli resi ancora più consapevoli della necessità di prendere provvedimenti di fronte alle sfide più significative che dovremo affrontare nei prossimi anni», dice Save the Children.
Secondo l’indagine commissionata a IPSOS, la multinazionale di ricerche di mercato e consulenza con sede a Parigi, su “I giovani e la cittadinanza scientifica”, pubblicata all’interno dell’Atlante di Save the Children, circa 1 adolescente su 3 pensa che invecchiamento della popolazione, energia sostenibile, diminuzione delle emissioni inquinanti e diseguaglianze socio economiche, siano i principali temi che la scienza dovrà affrontare tra dieci anni.
I giovani credono nella scienza, ma non ricevono il sostegno per studiarla: «il 15% non crede di proseguire gli studi al termine delle scuole superiori e non frequenterà l’università e il 33% di quanti invece si iscriveranno a un ateneo, certamente non opteranno per un indirizzo scientifico. E qui il divario di genere è significativo già dalle intenzioni: il 41% delle ragazze esclude a priori un indirizzo scientifico, mentre solo il 26% dei ragazzi la pensa allo stesso modo. E sono solo 8 ragazze su 100 a puntare per esempio su una facoltà di ingegneria, rispetto a 30 ragazzi su 100».

La pandemia lascia in eredità giovani più poveri, tanto che negli ultimi 15 anni c’è stato un lieve rallentamento della povertà col reddito di cittadinanza nel 2019, ma dal 2020, inizio Covid, la crescita è ripresa: «È stato calcolato che su una platea di 3.000.000 di individui beneficiari del ‘reddito di cittadinanza’, 753.000 sono minorenni. Non solo, la povertà come indicatore, deve essere preso in considerazione, anche l’incisività delle disuguaglianze è una cartina di tornasole importante.».

Le disuguaglianze e la povertà educativa partono già dalla culla, dalla primissima infanzia e dalla possibilità o meno di frequentare nidi o servizi per l’infanzia. Continua poi con la scuola, che vede divari territoriali enormi già solo con la disponibilità o l’assenza del tempo pieno, come si sottolinea nell’Atlante di dice Save the Children: «In Italia solo un bambino su 7 (14,7%) usufruisce di asili nido o servizi integrativi per l’infanzia finanziati dai Comuni. Il dato molto basso cela enormi differenze nell’offerta territoriale, causa ed effetto di grandi diseguaglianze: in Calabria solo il 3,1% dei bambini ha accesso al nido, opportunità offerta invece al 30,4% dei bambini che nascono nella provincia di Trento. La spesa media pro capite (per ogni bambina o bambino sotto i 3 anni) dei Comuni per la prima infanzia è di 906 € ciascuno, con divari che vedono arrivare la spesa a Trento a 2.481 € e scendere in Calabria a 149 €.».

Le disuguaglianze si riproducono anche negli anni seguenti, infatti, come ricorda l’Associazione: «In Italia solo il 36,3% delle classi della scuola primaria usufruisce del tempo pieno. Ci sono però forti differenze territoriali, con la provincia di Milano in testa, con una copertura del 95,8% delle classi, e quella di Ragusa fanalino di coda, con appena il 4,5% di copertura.».

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