Presentato da Greenpeace un dossier che analizza l’impatto dell’inquinamento da plastica sulla biodiversità, sul clima e sulla salute umana, che porta a riflettere sul sistema del riciclo e sulla necessità di ridurre a monte la produzione della plastica, a partire dal monouso e sull’utilità di un trattato globale utile ad arginare una delle crisi ambientali più gravi dei nostri tempi.

di Piero Mastroiorio —

«L’abuso di plastica usa e getta, ovvero quell’insieme di imballaggi e contenitori progettati per diventare in poco tempo un rifiuto difficile da riciclare, rappresenta un’evidente e intollerabile assurdità. È peraltro tra le concause di una delle emergenze ambientali più gravi dei nostri tempi: l’inquinamento da plastica», afferma Greenpeace, che ha presentato, qualche giorno fa, il Dossier “Plastica, emergenza fuori controllo”, con il quale evidenzia l’impatto dell’inquinamento da plastica sulla salute del nostro Pianeta, partendo da una riflessione sugli attuali modelli di business e consumo basati sullo sfruttamento di preziose risorse naturali non rinnovabili.  

Stando ai dati riportati nel Dossier: «Dal 2000 al 2015 è stato prodotto il 56% di tutta la plastica fabbricata nella storia umana raggiungendo circa 370.000.000 di tonnellate nel 2019. Secondo le stime più accreditate, se la curva di crescita esponenziale dovesse seguire l’attuale traiettoria, i volumi prodotti ogni anno nel mondo raddoppierebbero entro il 2030-2035, per triplicare nel 2050, raggiungendo 1.100.000.000 di tonnellate. Una produzione mastodontica, che genera valanghe di rifiuti che contaminano ogni angolo del Pianeta. Davanti a numeri di tale portata, il riciclo non si pone come un sistema efficace contro l’inquinamento.».
Le stime di Greenpeace rivelano come, da tutta la plastica prodotta nella storia della sua esistenza, solo il 10% sia stato correttamente riciclato, il 14% è stato bruciato e il restante 76% è finito in discariche o disperso nell’ambiente, per cui «le politiche dovrebbero concentrarsi sulla riduzione a monte della produzione a partire dalla frazione monouso, a cui oggi è ascrivibile circa il 36% della produzione globale: si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di una catena di valore lineare che segue il modello del take-make-use-dispose.».

Imballaggi e contenitori, che hanno un impiego di breve durata e il cui destino finale è quasi sempre quello di diventare uno scarto a cui è difficile dare una seconda vita, come sottolinea il Dossier: «Nei casi in cui si raggiunge tale obiettivo spesso si tratta di processi di ‘downcycling’, in cui i rifiuti da imballaggio vengono trasformati in nuovi prodotti di qualità inferiore a loro volta difficilmente riciclabili.».
Le stime della Fondazione Minderoo, riportate nel Dossier, indicano che nel 2019, a livello mondiale, le quantità di rifiuti plastici derivanti dal packaging ammontavano a oltre 130.000.000 di tonnellate. I quantitativi maggiori sarebbero riconducibili alle bottiglie, 25.000.000 di tonnellate, seguite da pellicole e altri imballaggi flessibili, 18.000.000 di tonnellate, sacchetti, 16.000.000 di tonnellate e contenitori per alimenti, 15.000.000 di tonnellate. Si tratta delle stesse tipologie di rifiuti in cui oggi è più facile imbattersi in mare e che, insieme a reti e attrezzi da pesca, conferiscono alla plastica il primo posto nella classifica dei materiali più presenti negli oceani, circa l’80% del totale.

Tutto ciò, quale impatto ha sulla biodiversità?

Come possiamo immaginare l’impatto di un inquinamento da plastica di tale portata sulla biodiversità è devastante. Come spiegato sul Rapporto, sono più di settecento le specie animali impattate dalla plastica: non solo animali come i grandi cetacei o le tartarughe marine, ma anche centinaia di specie di pesci, uccelli e molte altre. Alcune rimangono intrappolate nei rifiuti e vi trovano la morte, altri invece mangiando le minuscole particelle possono andare incontro a severe conseguenze sul loro stato di salute, come si legge, ad esempio, nel Dossier: «il fitoplancton degli oceani, alla base delle catene alimentari marine e al contempo con un ruolo fondamentale per la produzione di ossigeno e il sequestro dell’anidride carbonica, il gas principale responsabile dell’effetto serra, se esposto a microplastiche può ridurre il tasso di fotosintesi e la sua crescita, alterando il ciclo del carbonio sul Pianeta.».
Inoltre, alle materie plastiche sono associate migliaia di additivi chimici, circa 10.000, alcuni estremamente pericolosi anche per la salute umana, che possono essere rilasciati dalla plastica direttamente nell’ambiente o, se ingeriti, finire nei tessuti degli organismi, una volta che i frammenti entrano in contatto con i succhi gastrici. Di conseguenza i minuscoli detriti possono essere vettori di ulteriore inquinamento, con importanti conseguenze sullo stato di salute degli esseri viventi.

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