Uno studio, pubblicato sulla rivista ‘Geophysical Research Letters’, a cui hanno partecipato ricercatori dell’IGG-CNR di Firenze, suggerisce un nuovo meccanismo di formazione dei ‘terreni caotici’, aree della superficie marziana, che non hanno corrispettivo sulla Terra e, che, tuttora, sono oggetto di dibattito tra gli esperti.

di Piero Mastroiorio –

Uno dei terreni caotici marziani
(Copyright: Erica Luzzi/Murray Lab)

Uno studio, pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters, a cui hanno partecipato ricercatori dell’IGG-CNR, Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche, di Firenze, rispetto alla teoria più comune, sostiene che l’acqua, liquida o sotto forma di ghiaccio, abbia giocato un ruolo centrale nel loro processo di formazione dei “terreni caotici” su Marte, suggerisce, invece, un differente meccanismo di formazione, legandoli a processi vulcanici.
I terreni caotici, che non hanno corrispettivi sulla Terra, il cui processo di formazione rimane enigmatico e tuttora oggetto di dibattito tra gli esperti, sono aree della superficie di Marte caratterizzate da una complessa morfologia che deriva dall’associazione di fratture, dorsali, valli, blocchi angolari grandi e piccoli, come spiega il ricercatore dell’IGG-CNR, Daniele Maestrelli: «Su Marte, i terreni caotici sono presenti in diverse regioni. Raggiungono diametri compresi tra i 20 e i 700 km e sono costituiti in molti casi da blocchi poligonali, che possono raggiungere svariate centinaia di metri in altezza ed hanno geometrie caratteristiche.

Terreno caotico” ottenuto in laboratorio

Secondo la teoria più comune, quest’area si sarebbe formata tra i 3.7 e i 2.9 miliardi di anni fa, quando accumuli di ghiaccio presenti al di sotto della superficie si sarebbero improvvisamente disciolti a causa del calore, rilasciando grandi quantità di acqua. Una volta drenata quest’ultima, la superficie sarebbe collassata sopra le cavità formatesi e il paesaggio sgretolato su sé stesso.».
Il gruppo di ricerca, invece, è partito da una ipotesi differente, quella che questi terreni, così complessi, siano stati generati da eventi vulcanici e non dall’azione dell’acqua, come sottolinea il ricercatore Maestrelli: «In particolare, sarebbero stati generati da un processo magmatico conosciuto come collasso calderico in blocchi, in cui la superficie di Marte è prima caratterizzata da un rigonfiamento legato alla messa in posto di magma in profondità, cui segue un repentino collasso per svuotamento delle camere magmatiche con formazione di strutture analoghe alle caldere presenti nel nostro pianeta. Cicli successivi di rigonfiamento e svuotamento avrebbero determinato la notevole complessità dei ‘terreni caotici’ marziani.».

(a-e) gli esperimenti condotti in laboratorio, che riproducono il collasso calderico ed (f) relativa sezione interpretativa (g) Modello digitale di elevazione di “Arsinoes Chaos“, con il quale i modelli sono stati comparati
(a,b) interpretazione degli esperimenti e (c-f) confronto con gli analoghi naturali marziani e lunari

Per validare tali ipotesi, i ricercatori hanno riprodotto, presso il Laboratorio di modellizzazione tettonica dell’IGG-CNR di Firenze, il processo di collasso calderico, come sottolinea il ricercatore dello stesso IGG-CNR, Giacomo Corti, spiegando: «Abbiamo simulato cicli multipli di intrusione di massa lavica in una camera magmatica posta a pochi chilometri sotto la superficie marziana e successivo svuotamento e collasso. Il suolo marziano è stato ricreato a piccola scala utilizzando della sabbia, mentre per simulare il magma abbiamo usato delle poliglicerine. Per la prima volta siamo riusciti a riprodurre in laboratorio le stesse caratteristiche dei terreni caotici marziani. Questi esperimenti mostrano quindi come la formazione di tali complesse strutture possa essere legata a processi vulcanici e non all’azione dell’acqua.».
«Anche per alcuni crateri lunari l’origine potrebbe essere legata a processi magmatici, con cicli di intrusione di magma, rigonfiamento e successivi collassi», è l’accento posto da Erica Luzzi, della Jacobs University di Brema e coordinatrice dello studio, che fa notare una possibile connessione con strutture molto simili presenti sulla superficie della Luna, denominati “Floor-Fractured Craters”.

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