di Piero Mastroiorio —

«Ogni anno, puntualmente, in questo giorno, di questa… », le parole de ‘A livella, poesia del Principe De Curtis, dedicata al giorno dei defunti, potrebbero essere quelle giuste per ricordare la ricorrenza dell’8 marzo, che ogni anno suscita discussioni e riflessioni sulla sua natura: dovrebbe essere considerato un giorno di festa o di commemorazione?
La risposta dipende da vari fattori, su tutti le visioni individuali ed i contesti culturali. Per molti, l’8 marzo è una festa, un’occasione per celebrare i progressi delle donne nella società, riconoscere le loro conquiste e onorare il loro contributo in tutti i settori. È un giorno per riaffermare l’importanza della parità di genere e per ribadire l’impegno a eliminare discriminazioni e disparità.

Per altri, netta minoranza, l’8 marzo è una giornata di commemorazione. È il ricordo delle 129 operaie, morte l’8 marzo 1908, nell’incendio di una fabbrica tessile di Cotton a New York. Un momento per ricordare le lotte storiche delle donne per i propri diritti, i sacrifici fatti dalle donne del passato e le sfide ancora presenti nel raggiungere una vera parità di genere. È un giorno per essere consapevoli delle ingiustizie e per rinnovare l’impegno nella lotta per i diritti delle donne.
In molti contesti, l’8 marzo è una combinazione di entrambi: una festa che celebra i successi delle donne e al contempo una giornata di riflessione su ciò che ancora deve essere fatto per garantire una piena parità di genere. È un’opportunità per unire le persone di tutti i generi nella lotta per un futuro più equo e inclusivo.

Indipendentemente da come si scelga di interpretare l’8 marzo, anche, con le serate organizzate all’insegna del consumismo più sfrenato, tra cene, balli e strip-tease maschili, quel che conta è il riconoscimento dell’importanza di continuare a lavorare verso una società in cui le donne godano di pieni diritti e opportunità, libere da discriminazioni e violenze di qualsiasi tipo.
Le scelta per non festeggiare l’8 marzo prende movimento da molte ragioni, credo, però, motivo principale, essere la critica alla commercializzazione dell’8 marzo. Ciò che dovrebbe essere un momento per riflettere sulle lotte delle donne e sulla ricerca della parità di genere è diventato spesso un’occasione per la vendita di fiori, cioccolatini e altri regali, senza affrontare realmente le questioni più profonde legate alla discriminazione di genere. Non mancano coloro che, scelgono di non festeggiare l’8 marzo, ritenendo una singola giornata non sufficiente, per affrontare le complesse problematiche legate alla discriminazione di genere e preferiscono impegnarsi costantemente nell’attivismo e nel sostegno alle donne tutto l’anno, anziché limitarsi a una celebrazione annuale.

Non mancano quelli che rifiutano di festeggiare l’8 marzo, perché vedono la giornata, trascurare le esperienze e le sfide delle persone transgender e non binarie, troppo focalizzata sulle donne cisgender, termine inglese che sta a significare cissessualità, che italianizzato diventa cisgenere o cisessualità ed indica le persone la cui identità di genere corrisponde al genere e al sesso biologico alla nascita.
Inoltre, alcune persone scelgono di non festeggiare l’8 marzo per rispetto verso coloro che continuano a lottare per i propri diritti in contesti dove la parità di genere è ancora lontana dall’essere raggiunta. Per loro, festeggiare sarebbe una forma di privilegio che non possono permettersi.
Comunque la si interpreti o giustifichi, la decisione di non festeggiare l’8 marzo è personale e rispecchia le diverse prospettive e esperienze delle persone rispetto alla giornata e alle questioni di genere in generale, l’importante è continuare a lavorare verso una società più equa e inclusiva, indipendentemente dalle forme che assumono le nostre celebrazioni o proteste.

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